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Alla scoperta degli Stati Uniti d’Europa, intervista ad Alfonso Maria Gallo

Alla scoperta degli Stati Uniti d'Europa, Intervista ad Alfonso Maria Gallo

Le elezioni europee si avvicinano ed è bene conoscere i programmi dei candidati per capire a chi dare la preferenza una volta recatisi alle urne. Motivo per cui, abbiamo intervistato il candidato al Parlamento Europeo nel collegio Italia Meridionale, Alfonso Maria Gallo, per conoscere i punti salienti del programma degli Stati Uniti d’Europa.

di Gabriele Caruso

Partiamo con il parlare di questa alleanza con Italia Viva, dato che dall’esterno sembra che sua valso il detto “Il nemico del mio nemico e mio amico”. Come spiegate agli elettori liberali questa scelta di creare tra voi e Azione due liste differenti e in competizione tra loro?

“Lo spieghiamo raccontando la realtà di quello che è accaduto. Nel mese di febbraio, abbiamo lanciato una proposta con all’interno un manifesto di Emma Bonino per gli Stati Uniti d’Europa, ovvero per la federazione europea, appellandoci proprio all’unità e quindi provando a tenere uniti sia Azione che Italia Viva come due soggetti che fanno parte, insieme a noi, della stessa aera europea, nota come Renew Europe. Questo perché abbiamo cercato di spiegare che quelle di giugno non erano elezioni italiane, suggerendo così a ogni partito di mettere da parte gli attriti che si erano verificati in passato. Ad ogni modo, correre insieme per le europee non è stato possibile, poiché nonostante il nostro segretario europeo, Riccardo Magi, le abbia provate tutte per candidarsi insieme, alla fine non è stato possibile, poiché ci si è resi conto che Magi era l’unico adulto in questa questione – come lui stesso si è definito. Renzi si è comunque dimostrato più aperto nell’accettare Calenda all’interno di questa lista di scopo, ma il leader di Azione non ne ha voluto sapere. Calenda ha posto un veto su Renzi, dicendo di essere disponibile solamente se fosse stato escluso Renzi. Ma negare ad una componente di Renew Europe la presenza, dopo che essa aveva già aderito al manifesto per gli Stati Uniti d’Europa, sarebbe stato letteralmente assurdo. Questo perché la stessa federazione europea che noi vogliamo, non è altro che il superamento del diritto di veto, mentre in questo modo sarebbe partita proprio da un veto posto da un partito italiano”.

Da dove deriva tutto questo astio di Calanda nei confronti di Matteo Renzi. Il leader di azione si è legato al dito la mancata nascita del Terzo Polo?

“La posizione di Calenda era incomprensibile anche alle alte sfere europee, spingendo addirittura la presidente di Renew Europe ad intervenire per provare a mediare. In risposta, Calenda ha minacciato di ritirare i parlamentare di Renew Europe qualora si fosse insistito nel creare questa lista di scopo insieme a Renzi. Questo perché Calenda ha un problema personale con Renzi, riconducibile al fallimento della costruzione del Terzo Polo, che lo ha portato a non considerare i programmi e le alleanze europee. Eppure, se noi di Più Europa avessimo dovuto ragionare come Calenda, anche noi avremmo dovuto avanzare un veto sul leader di Azione, visto che lui aveva fatto saltare la federazione a pochi giorni da quello che era un accordo federativo. Ma noi non ci siamo comportati come Calenda, mostrando di saper andare oltre gli attriti che si sono creati tra noi in passato. Ad ogni modo, i candidati di Azione che saranno eletti, alla fine siederanno vicino ai candidati eletti di Italia Viva, poiché i due partiti, nonostante tutto, continueranno a fare parte di Renew Europe”.

Passiamo ora ad occuparci del piano internazionale, ed in particolar modo agli scenari di guerra che lo stanno caratterizzando. In un momento come questo, quanto servirebbe una difesa comune europea? Come sarebbe possibile arrivare ad un risultato del genere?

“Nonostante l’Unione europea stia già progettando un piccolo corpo di 5-6 mila militari europei che si occupi di missione di peacekeeping, una difesa europea è essenziale. Alcuni pensano che una difesa comune europea comporti dei costi, ma non è così, poiché ci sarebbe infatti un grande risparmio economico. Se sommiamo l’attuale spesa di tutti i paesi europei in ambito di difesa militare, vediamo che risulta essere all’incirca di 230-240 miliardi di euro, ovvero oltre il doppio di quella della Russia e meno della metà di quella degli Stati Uniti. Ma, nonostante le cifre, noi non abbiamo una difesa paragonabile a questi stati perché agiamo singolarmente. Cooperando insieme, gli stati europei spenderebbero molto meno e otterrebbero anche un vantaggio strategico. Ci troviamo in un momento dove, complice la guerra alle porte dell’Europa e l’instabilità geopolitica che sta caratterizzando il Medio Oriente, ci sta portando a capire che il mondo è nuovamente sull’orlo del baratro. Ma piuttosto che correre ad una nuova miltarizzazione degli stati-nazione, bisogna prevenire quanto più possibile il pericolo della guerra attraverso la creazione di una difesa comune che agisca da deterrente verso un possible aggressore. E tutto questo, si realizza soltanto se prende vita una Federazione europea”.

Basterebbe dotarsi di un esercito convenzionale, oppure l’Unione europea deve essere pronta ad affrontare anche minacce quali le guerre ibride?

“Siamo già su scenari di guerra ibrida, come dimostrano gli attacchi cibernetici scagliati dalla Russia, che vanno dalla disinformazione agli attacchi hacker ad infrastrutture pubbliche e private di importanza strategica per il nostro Paese. Dobbiamo quindi essere preparati alla guerra non convenzionale che si combatte su più fronti”.

Passando così dall’ambito militare a quello civile, che rapporto dovrebbe stabilire l’Unione Europea con il processo di digitalizzazione e i sistemi di intelligenza artificiale? Nel momento in cui si andasse ad abbracciare un futuro digitale, quali ricadute comporterebbe questo cambiamento sul mondo del lavoro?

“L’Unione europea ha un ruolo essenziale in questo ambito. Da un punto di vista tecnologico, noi abbiamo abbandonato da troppo tempo questo settore, finendo così pe perdere colossi quale Simens o Nokia e rimanendo privi degli asset strategici tecnologici. Oggigiorno, i privati che posseggono questa tecnologia non rispondono più alla politica, ma al contrario la condizionano. Motivo per cui, l’Unione europea ha iniziato un processo di regolamentazione delle intelligenze artificiali, nonostante sia qualcosa che è solamente all’inizio perché ovviamente deve essere perfezionato e implementato in modo da non rallentare, ma regolamentare e governare i processi. Su questo io sono orgoglioso e fiducioso, perché vedo che l’Unione europea è l’unica che prova a regolamentare tali processi. Lo dimostra l’imposizione ad Apple dell’utilizzo del connettore universale di tipo C, oppure con l’introduzione del GDPR per proteggere la privacy dei dati dei cittadini europei, progetto al quale si sono adeguate aziende grandi e piccole. E lo stesso dovrà accadere con l’intelligenza artificiale. Dovremmo investire nei piccoli modelli di linguaggio, utili per la sanità, per la giustizia, per le imprese, ma al tempo stesso stare attenti a sistema di intelligenza artificiali quali per esempio la scansione dei volti e al controllo dei dati”.

Lavoro che oramai sembra sempre di più minacciato dalle innovazioni. Penso alla carne coltivata che comporterebbe una rivoluzione alimentare, qualora fosse introdotta anche in Italia. Cosa si sente di dire agli agricoltori del nostro Paese che temono un declino della produzione?

“L’intelligenza artificiale causerà la perdita di molti posti di lavoro in vari settori. Eppure questi lavoratori non li vediamo scendere in piazza per bloccare i processi di innovazione, al contrario di quanto fatto dagli agricoltori nei mesi scorsi. Al tempo stesso, però, non bisogna ignorare le proteste degli agricoltori, perché anche loro hanno le proprie ragioni. L’agricoltura e l’allevamento sono settori fondamentali per la creazione di un’Europa autonoma in ambito alimentare. Tuttavia, le innovazioni come la carne coltivata andrebbero ad impattare principalmente sugli allevamenti intensivi e gli allevatori che abbiamo visto in piazza, poco o niente hanno a che fare con questo tipo di allevamenti. Inoltre, la carne coltivata avrebbe anche un impatto ambientale positivo, poiché gli allevamenti intensivi inquinano tantissimo e creano danni agli animali, sia a quelli che stanno negli allevamenti, sia agli animali umani che poi si nutrono della loro carne. Motivo per cui, se si vogliono aiutare i piccoli e medi allevatori dobbiamo aprirci a queste nuove innovazioni e mettere fine agli allevamenti intensivi”.

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Last modified: Giugno 4, 2024
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